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La Storia di Giaculeta



(di Giovanni Servetti)

I1 31 luglio 1904 nasceva a Pratosalice di Pianfei Giacomo Fenoglio. Destinato a passare alla storia con il nomignolo “Giaculeta”: l’uomo dal carretto carico di stracci; il barbone indecifrabile, clamoroso, inspiegabile, che calcò le vie di mezzo Piemonte per tanti anni chiedendo l’elemosina e mori il 15 agosto 1974 dove era nato. Escludendo i giovani, il resto della popolazione lo ricorda benissimo anzi, per qualcuno fu lo spauracchio della prima infanzia allorché la mamma per ottenere obbedienza minacciava: “Stai buono, altrimenti ti faccio prendere da Giaculeta”. Invece Giaculeta non avrebbe mai fatto del male a nessuno per qualsivoglia causa perché dotato di natura pacifica di anima sensibilissimo con marcati tratti di romanticismo. Dunque, il futuro “yuppie” si svezzò, anche se di carattere un po’ indolente, crebbe nella casa di Pratosalice con i genitori e una sorella (Margherita) di tre anni maggiore di lui e lavorando quelle tre o quattro giornate di terreno. Erano pochine ma. considerando che allora il lavoro si svolgeva manualmente, c’era da fare per tutti e si riusciva a sopravvivere. Frequentò le elementari con normale profitto e all’età di 10anni gli mori il papà: fu grande dolore per lui. A 21 anni svolse il servizio militare nel corpo degli Alpini e il suo ritorno a casa coincise con il matrimonio di sua mamma che si risposo con un vicino di casa. Questo evento probabilmente smosse, risvegliò, portò in superficie ,convincimenti e contraddittorietà comportamenti latenti nell'inconscio forse un po' labile ed emotivamente fragile di Giacomo.
Fatto è che dopo il matrimonio della mamma che andò ad abitare con il nuovo marito ad una ventina di metri da lui, il giovane, vivendo da solo nella casa paterna (la sorella era già sposata) diventò abulico, più svogliato e cadde via via in una sempre più profonda apatia anche se sua mamma accudiva ai suoi bisogni portandogli i pasti gia pronti.
Il lavoro net campi venne trascurato totalmente, il tempo consumato prevalentemente a letto e la strano nomignolo di “Giaculeta” può essere stato in parte originato dalle esortazioni di sua madre “Giacu leute. Giacu leute” (Giacomo alzati). A 24 anni e mezzo circa, non si saprà mai se dopo aver lungamente meditato o frutto di una notte di fantasticherie ossessive e soverchianti, Giaculeta un mattino lasciò la casa, i suoi cari e si avvio nei paesi limitrofi a chiedere 1’elemosina;(i terreni li aveva gia venduti). Autentico antesignano dei moderni yuppies in un periodo che la storia non li aveva ancora inseriti sulla scena, Giaculeta inaugurò questo stile di vita lasciando che la barba ed i capelli assumessero liberamente 1'aspetto voluto da madre natura ed esulando clamorosamente dal normale ordinamento sociale, sino alla sua morte.
Con il passare degli anni allargò il percorso di questua dotandosi di un carretto sul quale stipava ogni sorta di cianfrusaglie, in prevalenza stracci.
Prima però si assicurava che non fossero smarriti perchè la sua grande sensibilità e dirittura morale gli vietarono ogni dubbio. Giaculeta visse cosi di elemosina e sovente patì la fame anche se qualche spicciolo la possedeva, ma lui non voleva spendere. Durante l’ultima guerra, i tedeschi vennero a prelevarlo diverse volte per raggiungere il quorum del terribile diktat: "Dieci italiani per un tedesco”. Lui ci andava tranquillo, tanto, diceva: "Per uccidere un altro e meglio che uccidano me”; e poi in quei luoghi c'era sempre (fattore molto importante) qualcosa da mettere sotto i denti. Ma la buona sorte volle sempre il suo ritorno a casa e per giunta sfamato. Il suo giro si era intanto ingrandito e luoghi di sua preferenza erano il cuneese verso la periferia sud-ovest di Torino: pare che una volta imboccò Corso Unione Sovietica, ma fatti pochi isolati la guardia cittadina lo intercettò e saputa la provenienza lo rimise prontamente, lui e il carretto, fuori Torino in direzione sud. A circa cinquant’anni la sua attività era alla massima espansione e per raccogliere più “merce” si era dotato di un secondo carretto che però spostava uno per volta: poche centinaia di metri, poi tornava indietro per recuperare 1’altro e cosi via...
Per alleggerire il suo travagliato trasporto aveva adottato un cucciolone di cane lupo nero che lui chiamava Tilin; però Tilin collaborava poco e il più delle volte saltava sul carretto e faceva cuccia. Ebbe solo questo cane, che godette di grande longevità morendo poco prima del padrone e lo accompagno nel suo peregrinare anche quando più avanti mollò il secondo carretto. Quando si trovava nei paraggi di casa, Giaculeta veniva a scaricare i carretti e finì con lo stipare tutta casa propria di materiali indescrivibili. Ogni tanto, specie se era inverno, poteva concedersi una sosta di un mese o due a casa, ma non questuò mai nella sua Pratosalice. Secondo il dott. Paolo Olivero di Pianfei, Giaculeta non era assolutamente pazzo perché egli poté osservarlo e parlargli in tempi reali e fu ancora lui a redarre il certificato di morte di Giacomo Fenoglio. Il medico assicura che Giaculeta godette sempre di ottima salute fisica nonostante l'assoluta indifferenza agli agenti atmosferici e i suoi pernottamenti occasionali ed incerti, morendo dopo brevissima malattia.
Riposa in pace nella tua Pianfei, Giaculeta.